Come l’uomo ha influenzato la vegetazione alpina?

Grandiosi eventi geologici e drastici cambiamenti climatici hanno influenzato le specie vegetali della regione alpina per centinaia di milioni di anni. A questi si aggiunge la presenza dell’uomo, ultimo arrivato sul Pianeta, una manciata di milioni di anni fa.

Ma quando gli uomini sono giunti sulle Alpi?

Le prime tracce della presenza umana sulle Alpi risalgono al Paleolitico, durante l’ultimo interglaciale. In quel periodo l’uomo abitava in luoghi alle pendici della catena alpina e nelle pianure vicine, evitando le alte quote.

Interessanti sono i resti di focolari e di utensili in selce rinvenuti nelle grotte di Wildkirchli, presso San Gallo in Svizzera: si tratta di tre grotte situate tra i 1488 e i 1500 metri sulla parete rocciosa alla estremità orientale dell’ Ebenalp a sud-ovest di Weissbad. Secondo gli studiosi tali grotte sarebbero state usate come riparo dall’orso delle caverne (di cui si sono trovate le ossa) durante il Wurm, e poi dall’uomo di Neanderthal che si recava lassù per la caccia estiva di camosci, stambecchi e lupi (circa 40.000 anni fa).

Nel Neolitico gli uomini abitavano le vallate alpine e praticavano il pascolo e l’agricoltura; in seguito iniziarono l’estrazione di minerali di rame. Gli scambi culturali tra la regione mediterranea e le aree baltiche determinarono l’introduzione di varie piante coltivabili in area alpina, soprattutto cereali: si sono trovate tracce di frumento, orzo, miglio, avena, piselli, lenticchie, fagioli, mele, pere, noci, nocciole, lino, papavero, cavolo, carote, bietola, prezzemolo, cumino.

Le valli più interne vennero popolate solo da 5.000 anni fa, forse in seguito all’estrazione di salgemma, di rame e, più recentemente, di ferro.

Nell' 800-400 a. C. c’erano insediamenti fissi già sopra i 1200 metri, con pascoli per capre e pecore.

I boschi alpini dovevano essere ancora intatti nell’epoca delle prime immigrazioni di massa di Romani, Celti ed Illiri. Bavari, Slavi e Alemanni si stabilirono lungo le principali strade romane nel 700 d.C.

Solo nel Medioevo iniziarono i primi disboscamenti intorno ai centri abitati e poi via via a quote maggiori alla ricerca di nuovi pascoli e spazi abitativi.

Nel XIV secolo i boschi ripresero ad espandersi, mentre gli uomini erano colpiti dalle epidemie di peste.

Dal XVI secolo ricominciarono i disboscamenti, soprattutto dove c’erano sfruttamenti minerari e si usavano forni a legna.

vallone del Beth
Vallone del Beth (Pragelato, Italia):
sino al secolo scorso si estraeva rame da miniere a 2800m di quota.

I boschi di specie arboree pregiate vennero abbattuti per la produzione di legname, altri per far posto a pascoli; molti vennero danneggiati con l’asportazione della lettiera, con l’estirpazione del novellame e con gli incendi.

Tutto questo ha provocato una modificazione del tipo e del numero di specie di piante presenti nelle valli: prevalsero le specie di più larga utilità rispetto ad altre già in decadenza anche per motivi climatici; si stabilizzarono a boscaglia o ceduo boschi non interessanti economicamente e che quindi non si lasciavano sviluppare fino al loro normale stato.

L’azione di disboscamento portò ad un aggravamento delle condizioni di vita delle popolazioni alpine: frane sempre più rovinose, smottamenti del terreno e valanghe sconvolgevano spesso i pascoli e le aree prative tanto che vennero abbandonati parecchi alpeggi e insediamenti alle quote più alte.


destra orografica Val troncea
Destra orografica della Val Troncea (Pragelato, Italia): l'intenso disboscamento
ha denudato il versante, soggetto a disastrose valanghe.
 
Nelle valli più assolate e calde si è stabilita un po’ alla volta una vegetazione “steppica” proveniente dall’Europa Orientale continentale, a causa delle vicissitudini climatiche e non solo.
I mutamenti del clima nel corso dei secoli provocarono conseguenze sulle specie vegetali, tanto maggiori quanto più esse furono danneggiate dall’intervento umano e persero la capacità di reagire alle condizioni ambientali avverse.


Per tutto questo, i paesaggi vegetali alpini dei nostri giorni non sono al cento per cento “opere della Natura”, ma sono il risultato di azioni naturali, climatiche ed antropiche, che hanno determinato un mosaico di specie e di associazioni diverse, dalle quote inferiori a quelle più alte, da est ad ovest e da nord a sud delle Alpi.













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